Il monitoraggio dell’agricoltura sociale in Sardegna

L'agricoltura sociale sarda in cifre

Comprendere le dinamiche dell’agricoltura sociale è complesso, rappresentare tale complessità attraverso indicatori sintetici che possano descrivere “lo stato di salute” delle fattorie sociali è stato un processo condotto attraverso due fasi di ricerca. In questa pagina sono riportati indicatori sintetici che si riferiscono a quanto raccolto ed elaborato sulle fattorie sociali iscritte all’albo regionale al 31.12.2022. Tale lavoro è stato possibile grazie alla collaborazione della quasi totalità degli imprenditori e delle imprenditrici che ringraziamo per il tempo dedicato. I dati sono aggregati e sono riferiti a 23 fattorie sociali.

In primo luogo, l’approfondimento delle forme giuridiche utilizzate (vedi figura a lato) ha consentito di cogliere uno spunto di riflessione interessante: solo il 48% delle Fattorie sociali intervistate è rappresentato da ditte individuali. Un dato che, paragonato al contesto più ampio delle aziende agricole regionali[1], suggerisce come siano preponderanti nel caso dell’agricoltura sociale forme giuridiche più complesse: le restanti aziende sono per il 35% società di persone (31% società semplice, 4% s.n.c e s.a.s) e il restante 4% da società di capitali. Il 13% è, infine, composto da cooperative sociali di tipo B.

Le fattorie sociali presentano una dimensione media di SAU pari a 21,5 ettari, dato in linea con quello regionale (22 ha[2]). Il 74% afferma di utilizzare metodi di produzione biologici, benché di questi il 23% non sia certificato, mentre le aziende convenzionali sono pari al 22%; la quota restante pratica agricoltura integrata o biodinamica. Le Fattorie sociali intervistate dimostrano dunque un’apprezzabile propensione ad adottare disciplinari di produzione eco-sostenibili.

Le aziende agricole intervistate hanno fatto rilevare in media un numero di addetti a tempo pieno pari a 2,2 unità (non dichiarando in nessun caso un numero di addetti superiore a 4 unità). Il 61% degli addetti a tempo pieno è anche coinvolto nelle specifiche attività di agricoltura sociale. Le unità di lavoro a tempo parziale sono in media pari a 2,4 di cui il 30% coinvolto nelle attività di agricoltura sociale.  

[1] Il 96% delle aziende al 2011 risultava essere caratterizzato da una forma giuridica individuale. Fonte: 6° Censimento Generale dell’Agricoltura in Sardegna – Caratteristiche strutturali delle aziende agricole regionali – 2013 (a cura del Servizio della Statistica regionale della Regione Sardegna). Anche se si tratta di un’informazione non aggiornata, si ritiene che il numero si sia mantenuto stabile nel periodo intercensuario.

[2] “L’agricoltura nella Sardegna in cifre 2018” (CREA 2018)

L’attività agricola più diffusa  è l’orticoltura, presente nel 74% delle aziende intervistate. A seguire l’olivicoltura e le colture annuali, presenti rispettivamente nel 61% e 57% delle fattorie sociali; la frutticoltura viene praticata quasi nella metà delle aziende mentre gli allevamenti suini e ovi-caprini circa nel 40%. L’allevamento di avicoli e cunicoli e quello di equini sono presenti in circa un’azienda su tre, così come altre attività produttive, che nello specifico comprendono laboratori di trasformazione dei prodotti agricoli. La viticoltura o la gestione di superfici boschive interessa un’azienda su 4 mentre l’apicoltura e la produzione in serra risultano residuali. L’agricoltura sociale incide maggiormente nelle aziende che hanno produzioni in serra e negli allevamenti ovi-caprini (sopra il 60% delle aziende), in misura rilevante (circa il 50%) nelle aziende che fanno vitivinicoltura e allevamenti di avicoli, intorno al 40% nelle aziende che hanno superfici a olivo e vite. Non è presente nella gestione di superfici a bosco o in altre attività produttive.

In linea con le indagini nazionali che hanno riguardato il settore, le fattorie sociali sono caratterizzate da una spiccata tendenza alla diversificazione. Come si evince dai grafici seguenti (vedi figure D ed E) l’83% svolge attività didattiche a favore delle scuole, il 78% offre ospitalità, il 57% trasforma prodotti non inclusi nell’Allegato I (marmellate, distillati, etc.), il 52% fa ristorazione e il 39% dispone di un punto vendita aziendale.

Anche dal punto di vista della sovrapposizione tra attività extra-agricola e sociale si può riscontrare come l’agricoltura sociale sia praticata proprio attraverso tali attività correlate (anche se non esclusivamente): questo dato è riscontrabile nella metà delle aziende che hanno attività di trasformazione e di fattoria didattica, in un’azienda su 3 attive nella ristorazione e in un’azienda su 4 attive nell’ospitalità[1].

[1] Per quanto riguarda il maneggio si fa riferimento a un’unica azienda.

Per quanto concerne lo stato di operatività delle fattorie sociali intervistate circa il 17% non ha ancora avviato le attività per motivazioni che sono, nella maggior parte dei casi, da ricondurre alla concomitanza tra l’iscrizione all’Albo e l’insorgenza della Pandemia di Covid 19. Un’altra quota di fattorie sociali, sempre pari al 17%, ha sospeso le attività per altri motivi: tra queste, ve ne sono alcune che si ritiene potrebbero non proseguire l’attività di agricoltura sociale[1].

[1] In un caso, ad esempio, la titolare della Fattoria sociale ha trovato altra occupazione stabile.

Fra quelle avviate, il 26% (6 aziende) svolge l’attività in maniera continuativa, il 22% in maniera periodica, la quota restante solo saltuariamente.

Si noti, inoltre, che il 23% ha avviato l’attività a seguito di un finanziamento. Il 71% ha però realizzato investimenti, negli ultimi cinque anni, connessi con l’attività di agricoltura sociale, o con mezzi propri o attraverso bandi regionali. Il 78% dei titolari delle Fattorie sociali ha partecipato a corsi di formazione, la parte restante aveva già competenze nelle materie oggetto delle attività di agricoltura sociale. La quasi totalità dei partecipanti ha seguito i corsi per operatore di agricoltura sociale realizzati da LAORE (solo in un caso è stato seguito un corso organizzato da un GAL).

Il 91% delle aziende intervistate dichiara di svolgere, di avere svolto o di prevedere l’erogazione di attività di agricoltura sociale per proprio conto, il 30% con l’ausilio di altri soggetti (cooperative sociali, associazioni, singoli professionisti).

Il 35% delle fattorie sociali dichiara di svolgere o prevedere lo svolgimento di iniziative educative, assistenziali e formative; il 17% di operare sulle politiche attive di inserimento socio-lavorativo di lavoratori svantaggiati; il 39% di abbracciare entrambe le attività (previste dalla L.R. n.141/2015). Il 9%, parte delle realtà che ancora non hanno avviato l’attività, non sa ancora su quale tipo di servizio puntare.

Anche rispetto al target dei destinatari delle attività di agricoltura sociale (figura a fianco), il quadro è piuttosto eterogeneo. In assenza di scelte chiare da parte degli operatori, si è preferito rappresentare gli orientamenti presenti e futuri (in questo caso rilevando comunque l’intenzione) in termini di prevalenza.

Il 44% delle aziende intervistate intende intervenire in misura prevalente sui minori, il 30% su categorie protette, il 17% sui disoccupati e il 9% sugli anziani.

Più nitido è invece il quadro delle convenzioni in essere rispetto agli invii e alle prese in carico dei destinatari: in questo caso le risposte sono esclusivamente di quei soggetti che svolgono attività sociale in maniera costante (le 11 realtà identificate in Tab.1). La maggior parte di esse, 8 su 11, ha attivato forme di collaborazione con servizi pubblici o privati accreditati (Cooperative sociali) attraverso associazioni temporanee di scopo e/o altri tipi di accordi o convenzioni. Le rimanenti 3 hanno collaborazioni con Istituti penali, UEPE (Uff. esecuz. Pene Esterne) e con il Tribunale minorile (USMM).

Le fattorie sociali che hanno nel loro DNA il mondo della cooperazione sociale presentano forme di collaborazione più variegate. Una cooperativa, per esempio, collabora all’interno di una rete con altre aziende agricole del territorio (Progetto “Agricoltura sociale senza confini” finanziato da un GAL), con la casa di reclusione di Arbus “Is Arenas”, con numerose associazioni e aziende agricole del territorio di Guspini e Arbus (Progetto “Insieme per lo Sviluppo e l’Inclusione” finanziato dalla Fondazione Con il Sud, dove la cooperativa è soggetto capofila). La cooperativa lavora anche sull’alternanza scuola-lavoro e sull’orientamento e ha un accordo con due Comuni, tre aziende agricole, il Parco Geominerario, l’Istituto Tecnico Lipsia e l’Associazione San Nicolò Vescovo ODV. Una Fattoria sociale di recente costituzione (2020) ha avviato l’attività grazie a un bando regionale (INCLUDIS – Progetti di inclusione socio-lavorativa di persone con disabilità) nel quale l’azienda è soggetto capofila dell’ATI “GI.CO. I.A.S.” (Giovani Coltivatori in Agricoltura Sociale) includendo anche quattro Comuni (Baradili, Sini, Pau e Turri), due ONLUS e altre tre aziende agricole. L’ATI è stata costituita come ideale prosecuzione del progetto finanziato dalla Regione Sardegna al cui bando l’azienda aveva partecipato nel 2019 e che le ha permesso di ospitare due utenti. Attualmente l’ATI ha in corso la presentazione della domanda al bando del GAL Marmille.

Un altro elemento importante per mettere a fuoco “l’ecosistema” delle fattorie sociali iscritte all’Albo ha a che fare con le competenze applicate nell’erogazione dei servizi. Tutte le undici realtà che svolgono attività con regolarità impiegano personale con competenze psico-educative. Tra le competenze più applicate spiccano quelle legate ai profili di assistente sociale ed educatore, in misura meno rilevante quelle relative all’ambito psicologico-psichiatrico, alla formazione e alla mediazione culturale.

Un ultimo aspetto da sottolineare, prima di affrontare i punti di forza e debolezza, attiene alla sostenibilità dell’attività di agricoltura sociale.  Circa il 52% delle aziende intervistate colloca il suo fatturato tra i 25.000 e 100.000 euro, solo il 13% si attesta sopra i 100.000 euro.

Escludendo un 13% di aziende che ha avviato l’attività agricola da poco e che dichiara fatturati molto bassi, si può sottolineare come l’attività di agricoltura sociale si innesti in realtà aziendali che presentano buoni ricavi da attività agricola ed extra-agricola (ospitalità e ristorazione). Il peso delle entrate che proviene dall’agricoltura sociale è tuttavia minoritario: concentrandosi unicamente sulle 11 che svolgono l’attività con regolarità, solo per una di queste il “giro di affari” incide per il 30% sul fatturato dell’azienda, per altre tre aziende tra il 5 e il 10%, mentre per le restanti sette è sotto il 5%.

Rispetto alla marginalità decisionale ed economica lamentata dalle Fattorie sociali e in particolar modo dalle aziende agricole con fini di lucro, va sottolineato che qui si tratta di affrontare la questione dei rapporti di forza e la demarcazione di ruoli che si sono consolidati negli anni tra i diversi soggetti coinvolti in quella che abbiamo definito “filiera dell’agricoltura sociale”. Le soluzioni proposte sono sembrate più che altro un auspicio verso un cambiamento di approccio. Le Fattorie sociali, come soggetto posto al termine della filiera, si percepiscono come poco coinvolte nel processo decisionale, chiamate a operare entro limiti la cui definizione rientra in un dominio lontano dal contesto dell’agricoltura. La conseguenza di questo approccio – percepito come top-down – ha attenuato le ambizioni dei titolari e degli operatori delle Fattorie sociali, i quali frequentemente non si sono sentiti partecipi delle politiche regionali in merito agli obiettivi sociali collegati a tale forma di agricoltura.

In alcune interviste questa marginalità è stata esemplificata nell’impossibilità per le Fattorie sociali di guidare progetti complessi quali soggetti capofila, ma anche negli stanziamenti delle risorse che, tra i vari soggetti della filiera, sarebbero sempre residuali e inadatti a riconoscere il valore economico, sociale, perfino ambientale del lavoro svolto. Ne consegue la netta percezione, per alcuni intervistati, di non essere parte attiva di una politica in grado di generare valore sul territorio ma, al contrario, un ingranaggio secondario e privo di voce in capitolo, una macchina erogatrice di risorse finanziarie improntata sul concetto di progetto e non di servizio. Muovendo da questi scenari l’unica soluzione emersa è quella di un cambio del paradigma attraverso il quale la filiera dell’agricoltura sociale opera, prevedendo un maggiore coinvolgimento, in tutte le sue fasi – dalla programmazione, alla sua realizzazione – delle aziende agricole e quindi, in definitiva, intervenendo con un approccio bottom-up.